AUTORE
Raymond Moody
Studioso, ricercatore, conferenziere e autore, Raymond Moody è colui che ha introdotto e spiegato per primo il concetto di «esperienza di pre-morte» nel suo bestseller La vita oltre la vita (più di 30 edizioni in Italia). Appare con regolarità sulla televisione nazionale statunitense ed è stato invitato per ben tre volte da Oprah Winfrey. Oltre a condurre studi su tutto ciò che ha a che fare con il para-normale, Moody offre anche consulenze personalizzate a chiunque ne faccia richiesta. Paul Perry studia in particolare i bambini reduci da esperienze di pre-morte. Ha scritto diversi libri tra cui Sal-vato dalla luce, da cui è anche stato tratto un film.
Dal libro LA VITA OLTRE LA VITA:
L’essere di luce
L’elemento forse più incredibile nei casi da me studiati, e senza dubbio quello che ha l’ef-fetto più profondo sugli individui, è l’incontro con una luce chiarissima. All’inizio la luce è generalmente incerta, ma diventa sempre più vivida fino a raggiungere uno splendore so-vrumano. Tuttavia, per quanto questa luce (generalmente definita bianca o “chiara”) sia di un’indescrivibile luminosità, molti sottolineano che non offende in alcun modo la vista, né li abbaglia, né impedisce di vedere le altre cose (forse perché a quel punto non esistono più gli occhi nel senso fisico, che possono venir abbagliati.
Malgrado l’insolita manifestazione della luce, nessuno ha mai dubitato che si trattasse di un essere, un essere di luce. E non soltanto un essere, ma un essere personale. Con una personalità ben definita. L’amore e il calore che il morente sente emanare dall’essere di luce sono assolutamente inesprimibili e il morente se ne sente completamente circondato, si sente completamente sereno e accettato alla presenza dell’essere. Prova verso la luce una irresistibile attrazione magnetica.
E' interessante notare che mentre la descrizione dell’essere di luce non varia da una per¬sona all’altra, l’identificazione cambia da individuo a individuo e sembra essenzialmente legata all’ambiente, all’educazione o alla fede religiosa. Così, la maggioranza dei cristiani identifica la luce con Cristo e spesso si serve di paragoni tratti dalla Sacra Scrittura per av¬valorare la sua interpretazione. Un uomo e una donna ebrei identificarono nella luce “un angelo”; ma non intendevano davvero parlare di essere con le ali, che suonava l’arpa, o semplicemente di un essere dalla forma umana. Avevano visto soltanto luce. Intendevano spiegare che vedevano nell’essere un emissario, una guida. Un uomo che non aveva, pri¬ma dell’esperienza di pre-morte, né educazione né fede religiosa, definì quello che aveva visto semplicemente “un essere di luce”. E lo stesso fece una donna di fede cristiana che evidentemente non sentì alcun impulso a chiamare la luce “Cristo”.
Poco dopo la sua apparizione l’essere comincia a comunicare con il morente. La comuni¬cazione avviene al modo di quella già descritta tra la persona entrata nel corpo spirituale e gli altri attorno a lei di cui può afferrare i pensieri. Anche in questo caso tutti affermano di non aver sentito l’essere pronunciare parole o suoni distinguibili e di non aver risposto at¬traverso suoni o parole udibili. Si parla piuttosto di una diretta trasmissione del pensiero, senza limiti né ostacoli, con una chiarezza che esclude nel modo più assoluto la possibilità di fraintendere odi mentire alla luce.
Inoltre, la reciproca trasmissione non avviene nella lingua della persona morente, che comprenderebbe perfettamente, ma non ha in seguito la possibilità di tradurre nella sua lingua i pensieri e lo scambio di pensieri conosciuti mentre era prossima alla morte.
La fase successiva dell’esperienza di pre-morte illustra chiaramente la difficoltà di traduzione da quel linguaggio non verbale. L’essere dirige quasi immediatamente un pensiero al morente alla cui presenza è apparso. Le persone con le quali ho parlato cercano di tradurre il pensiero in una domanda. “Sei preparato alla morte?”, “Sei pronto a morire?”, “Che cosa hai fatto nella tua vita che ti sembri sufficiente?” sono tra le domande che mi sono state più spesso riferite. Le prime due domande, che sottolineano l'importanza della “preparazione”, possono a prima vista sembrare diverse dalle prime due, che sottolineano l'importanza di quel che si è fatto. Tuttavia, la mia idea che in realtà i due gruppi di domande intendono esprimere lo stesso pensiero trova sostegno nel racconto di una donna che si è espressa così:
La prima cosa che mi disse fu – in un certo senso mi chiese se ero pronto a morire e che cosa avevo fatto nella mia vita che volevo mostrargli.
Inoltre, anche nel caso in cui il tentativo di formulare con parole umane la “domanda” si risolve in modi più insoliti approfondendo il significato si comprende che la sostanza è la stessa. Un uomo mi ha detto che durante la sua “morte”:
La voce mi ha rivolto una domanda:” Ne è valsa la pena?”. E voleva dire se la vita che avevo condotto mi sembrava,ora che sapevo quello che sapevo,degna di essere vissuta.
Incidentalmente,tutti sottolineano il fatto che la domanda, per quanto definitiva e profonda nel suo impatto emotivo, non suona mai come una condanna. L'essere non rivolge la domanda per accusare o minacciare, perchè il morente continua a sentire da parte della luce un amore e un'accettazione totali, indipendentemente dalla risposta. La domanda sembra piuttosto intesa a far riflettere il morente sulla sua vita.
In un certo senso è una domanda socratica, rivolta non per ottenere un'informazione ma per aiutare l'altro ad avviarsi da solo sul sentiero della verità.